Beethoven sordo? Sì, ma l’arte vince sempre
Proprio così, il grande compositore nato a Bonn nel dicembre del 1770 ha dovuto convivere con una grave forma di sordità, giunta quando era all’apice della sua carriera.
Ma questa sfida immensa non ha fermato la sua arte, anzi.
Beethoven si è infatti ingegnato per trovare soluzioni che gli permettessero di comporre, anche senza riuscire a sentire i suoni che erano frutto delle sue composizioni.
Beethoven sordo, Beethoven genio, Beethoven sublime.
Quella di Beethoven sordo è quindi una storia di coraggio, di Amore per la musica e di immensa forza di volontà.
È la storia di un uomo che, in un tempo in cui non esistevano apparecchi acustici o raffinate visite specialistiche, ha avuto la forza di andare avanti in nome della sua passione, riuscendo a comporre alcune delle sue opere più memorabili in uno stato di totale sordità.
Beethoven sordo – il compositore
La sordità di Beethoven arriva in modo graduale, quando ha circa 30 anni.
Inizialmente percepisce le voci, ma non riesce a distinguere con chiarezza le parole.
Successivamente, comincia a non percepire i suoni e, di conseguenza, anche la sua musica.
Documenti dell’epoca e biografi riportano che per riuscire a sentire le note dell’orchestra, Beethoven deve sedersi vicinissimo ai musicisti.
La prima reazione? Forse quella più naturale, ovvero Beethoven rifiuta la realtà e si chiude in sé stesso, decide di isolarsi volontariamente, per evitare che altri si accorgano del suo problema.
È il periodo più buio, quello in cui medita anche il suicidio, come racconta in una lettera indirizzata ai fratelli:
O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale, come siete ingiusti con me! Non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un’apparenza […] pensate solo che da sei anni sono colpito da un male inguaribile, che medici incompetenti hanno peggiorato. Di anno in anno, deluso dalla speranza di un miglioramento […] ho dovuto isolarmi presto e vivere solitario, lontano dal mondo […] se leggete questo un giorno, allora pensate che non siete stati giusti con me, e che l’infelice si consola trovando qualcuno che gli somiglia e che, nonostante tutti gli ostacoli della natura, ha fatto di tutto per essere ammesso nel novero degli artisti e degli uomini di valore.
Nel frattempo, però, inizia a ingegnarsi con ogni mezzo per poter sentire le vibrazioni della musica che compone e produce.
Si narra di scelte audaci, come quella di tagliare le gambe al pianoforte e appoggiare la tastiera a terra, per percepire le vibrazioni dello strumento sul pavimento.
Oppure di una grande scatola, che Beethoven usa come cassa di risonanza, appoggiandola sul pianoforte.
Anche di una bacchetta metallica tenuta fra i denti e appoggiata alla cassa armonica del pianoforte, per percepire le vibrazioni delle note musicali.
Beethoven inizia anche a farsi costruire degli apparecchi acustici, una sorta di cornetti di metallo realizzati dal suo amico Johann Mälzel, l’inventore del metronomo, che sono ancora oggi esposti nella sua casa museo di Bonn.
Beethoven come faceva a comporre da sordo?
Questa domanda nasce spontanea, perché tutti associamo la musica all’udito e, in mancanza del secondo, sembra impossibile poterla ascoltare e ancor meno poterla creare.
Eppure Beethoven, nel suo genio, riesce a superare la più difficile delle sfide, anche se con enormi difficoltà.
Anche le persone meno interessate alla musica classica hanno ascoltato, almeno una volta nella vita, una delle sue opere per pianoforte, come la “Sonata al chiaro di luna” o “Per Elisa”.
Fra tutte, la “Nona Sinfonia” è forse fra le più famose, eppure Beethoven l’ha composta quando la sordità era già in stato avanzato.
La Nona Sinfonia viene infatti eseguita per la prima volta a Vienna nel maggio del 1824 e Beethoven in quell’occasione condivide il palcoscenico con il direttore d’orchestra Michael Umlauf.
In quell’occasione cerca di riprodurre l’espressione della sua musica con gesti ’selvaggi’. Muove in modo scomposto mani e piedi e si agita molto sul palcoscenico.
I musicisti non sanno che il compositore non può più sentire la sua musica, così come non può più dirigerla.
Sul palco, l’immagine di Beethoven sordo è di una forza immensa, è quella di un uomo che ci mette l’anima per trasmettere il potere della sua musica, anche se non può più percepirla fisicamente.
Il compositore sordo è invece l’uomo che si isola e compone fra le opere più memorabili della sua storia, l’uomo che si ingegna per poterne sentire le vibrazioni e che non si arrende di fronte al limite fisico.
Beethoven infatti comincia a comunicare per iscritto con le persone, attraverso i ‘Libri di conversazione’ che sono oggi fra le testimonianze più importanti della sua vita e delle sue opere.
Abbandona la carriera da concertista e si isola dal mondo, sfrutta le vibrazioni, ma soprattutto si immerge completamente nella propria immaginazione.
Molti studiosi sono concordi nell’affermare che questo livello di composizione così particolare è la culla di una produzione artistica sicuramente inusuale per il tempo, quanto geniale nella sua forma.
Una produzione artistica che nasce in un universo mentale parallelo, nei ricordi, nella memoria e nel genio.
Beethoven, l’artista sordo e cieco
In più, non tutti sanno che il Beethoven sordo è anche il Beethoven cieco, perché nello stesso periodo anche la sua vista si offusca, raddoppiando i limiti fisici.
Questo non lo blocca, lo fa andare avanti e lo convince a dedicare ogni istante della sua vita alla composizione, organizzando la quotidianità con precisione e delegando tutto il resto ad altre persone.
Beethoven spende molto denaro, impiega diverso personale per governare la casa e gestire le questioni pratiche, affinché possa immergersi totalmente nella scrittura.
Il 26 marzo 1827 il maestro lascia la vita terrena e decine di migliaia di persone seguono il suo corteo funebre.
Oggi la sua immagine si divide tra lo sguardo severo dei dipinti che lo ritraggono e i concerti che incantano milioni di persone in ogni parte del mondo, tra film che lo celebrano in modi diversissimi (memorabile Musikanten del maestro Battiato con protagonista Alejandro Jodorowsky) e la potenza eterna della sua musica.
Una musica che forse e in parte non avrebbe potuto esistere, se la storia avesse seguito un altro corso.
Beethoven e la mia esperienza di arte, musica e sordità
Sono passati diversi anni da quando Beethoven ha composto le sue opere pur essendo sordo e il mondo da allora ha fatto tanta strada.
Ciò che in passato veniva nascosto, perché fonte di vergogna o di un sentimento di inadeguatezza, oggi comincia a essere accolto e condiviso con tutti, come nel caso dei Buskers Deaf, artisti di strada sordi, che realizzano performance artistiche nelle vie di tutto il mondo.
Proprio a questo proposito, il 26 di agosto dalle 19 nel Parco Massari in occasione del Buskers Festival di Ferrara, mi esibirò insieme a Daniele Gambini in una performance dal vivo che unisce arte, musica e sordità.
Daniele è un compositore e pianista di Milano con una sordità medio grave bilaterale dalla nascita.
Quando era adolescente rifiutava gli apparecchi ed è rimasto per anni senza portarli, perchè si vergognava della sua sordità.
Ha iniziato i suoi studi musicali al pianoforte senza le protesi acustiche a 11 anni, attuando diverse strategie di ascolto per sopperire alla mancanza uditiva.
Grazie alla musica e all’esigenza di suonare insieme agli altri, Daniele ha però ripreso a mettere le protesi acustiche, superando i blocchi dovuti alla sordità.
Oggi lavora come insegnante in scuole secondarie di primo grado su sostegno ad alunni con disabilità, esercitando sempre un’attività di compositore e pianista, realizzando diversi album musicali e concerti.
Nell’incantevole cornice del Parco Massari di Ferrara faremo insieme una performance che ha come tema “la solitudine”, ma che vuole lanciare un messaggio finale positivo.
Perché per noi la solitudine è stata un’esperienza di vita legata alla nostra sordità, ma è un sentimento che si collega a molte altre circostanze.
Speriamo quindi che il pubblico possa riconoscersi nella nostra tematica, cogliendo però l’ispirazione positiva.
Io dipingerò e improvviserò un quadro in 20 minuti, e lo farò attraverso una performance artistica, utilizzando anche le mani, oltre i pennelli.
Cercherò di tirare fuori tutte le emozioni che ho dentro, ascoltando anche la musica improvvisata di Daniele che cercherà di entrare in empatia con me sulla base dei miei movimenti.
Effettueremo una relazione di ascolto reciproco attraverso i nostri linguaggi artistici.
Ci potranno essere cambi di ritmo e di melodie, del resto qualcuno ha detto che il segreto dell’arte è proprio l’improvvisazione e credo che in questi eventi la accoglieremo a braccia aperte.