La storia della mia sordità

Angela Bombardi pittrice

La storia della mia sordità

Mi chiamo Angela e ho superato le difficoltà della mia vita grazie a un ingrediente speciale: il mio carattere.

Già da bimba ero estroversa, vivace, allegra, senza paura e curiosissima di tutto.

Avevo un rapporto molto stretto con la mamma, il mio grandissimo punto di riferimento durante l’infanzia, e ho imparato a parlare intorno ai 2 anni: ero una chiacchierona!

Capire di essere sordi da bambini

Qualche volta a casa cantavo alla mamma le canzoni imparate all’asilo, ma lo facevo inventando parole inesistenti

Ricordo che lei rideva ascoltando le mie parole buffe

Nel frattempo parlavo tanto e speditamente, con alcuni difetti di pronuncia tipici dei bambini molto piccoli e mi scambiavano per una bimba viziata. 

Io e mia mamma passavamo tanto tempo insieme a giocare e a parlare, lei stava con me ore a cantare e a raccontare storie. 

La sera mi sedevo in cucina al tavolo da pranzo e, mentre lei preparava la cena, io disegnavo. 

Una di quelle sere, quando avevo 4 anni, mia mamma stava parlando, era girata verso i fornelli e mi dava la schiena.

Allora io le sono andata di fianco, l’ho girata verso di me e le ho detto: “Mamma! Guardami quando parli, sennò non ti sento!”.

Scoprirono dopo accertamenti medici che avevo una disabilità: “sordità neurosensoriale bilaterale medio-grave” che, con il passare del tempo, è diventata grave.

Così sono iniziate le visite specialistiche. 

Non collaboravo con la foniatra perché quando mi rendevo conto di non capire e non sentire le parole che mi chiedeva di ripetere mi sentivo umiliata. 

A 5 anni ho indossato le mie prime protesi acustiche, che non accettavo volentieri perché quando si vive nel silenzio da tanto tempo, i suoni che filtrano attraverso le protesi sembrano assordanti.

Fotografia scattata da papà – Angela Bombardi – 4 anni

La mattina che ho indossato gli apparecchi per la prima volta, mentre facevo colazione, ho sentito un rumore fortissimo e continuo

Ho chiesto alla mamma cosa fosse, lei ha ascoltato e capito subito: stavo mescolando lo zucchero nel latte e il cucchiaino di metallo sbatteva contro le pareti della tazza.

Accettare la sordità da bambini

Con il tempo e la pazienza dei miei genitori, sono arrivata ad accettare sia la sordità che i miei apparecchi.

Non mi vergognavo di nulla, amavo la scuola e i giochi spericolati e non facevo molto caso ai miei limiti: se non riuscivo a fare qualcosa, facevo qualcos’altro e mi divertivo un mondo.

Crescendo ho iniziato ad acquisire più consapevolezza: sentivo dentro di me di essere un po’ diversa, ma con l’aiuto degli apparecchi potevo vivere una vita integrata.

Certo, non potevo sentire come gli altri e non mancavano le difficoltà. 

Soprattutto, durante la preadolescenza e l’adolescenza, dove ogni cosa pesa come un macigno, mi sentivo esclusa dal gruppo di amici che conversavano fra loro.

Faticavo costantemente per cercare di capire tutto e non perdermi niente, ma spesso mi arrendevo e stavo in mezzo a loro senza riuscire a prendere parte alla conversazione, e i miei pensieri vagavano. 

Spesso facevo finta di ridere assieme a loro, pur non avendo capito. 

Eppure, appena capivo qualcosa parlavo a raffica, cercavo di inserirmi, e nessuno ha mai percepito la mia difficoltà. Avevo escogitato anche un trucco per integrarmi nel gruppo, che uso tuttora: parlavo con una persona alla volta, vicino a me.

Camuffavo molto le mie difficoltà.

Il mio percorso di studi

Avrei voluto essere una scrittrice o una pittrice, e alla fine ho deciso di intraprendere gli studi artistici, che mi hanno appassionato tantissimo.

All’Accademia di Belle Arti ho iniziato un viaggio interiore alla ricerca di risposte.

È stato un percorso di accettazione di me stessa e del mio handicap durato anni ed esplorato attraverso l’arte, inizialmente con la fotografia, poi con le incisioni, infine con la pittura.

Quel percorso è diventato un progetto intitolato “Io vedo il suono” e molti lavori li ho esposti qui nel mio sito.

A 23 anni ho anche conosciuto la comunità sorda, composta da sordi segnanti, cioè che utilizzano la Lingua dei Segni per comunicare e ho scoperto un mondo fiero del proprio essere e della propria sordità, che mi ha insegnato tanto attraverso il suo orgoglio e le sue mani fatate.

Vivere con l’ipoacusia

Sono giunta attraverso a queste esperienze e all’arte, a riconoscermi uguale agli altri anche se diversa. Ho una cosa in meno, ma anche qualcosa in più, unica come tutti noi siamo, e ho accettato me stessa. 

E per quanto sia scomodo non sentire bene in molte circostanze quotidiane, sono serena e ho trovato il modo di valorizzare il mio essere e superare le difficoltà, mostrandomi e non nascondendomi.

Amo il delicato equilibrio dato dall’alternarsi dei momenti senza gli apparecchi acustici e dei momenti in cui li indosso.

Non posso fare a meno dei momenti silenziosi, lenti e riposanti per la mia mente e le mie orecchie e nemmeno di quelli in cui, come al mattino quando indosso gli apparecchi, mi appare un mondo sonoro vivace e ricco, che risveglia i sensi come fa il profumo di un buon caffè.

La fotografia in copertina dell’articolo è stata scattata dalla fotografa Marija Obradovic.

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